mercoledì 27 agosto 2008

SOTTOCULURE GIOVANILI: IDENTITA' DI

"Generalmente è difficile assegnare una scala di valori a una cosa così personale come lo stile. Forse il motivo sta tutto nel suo appeal.
Un’influenza totale, ma non cieca”.

All’inizio degli anni ’50 i giovani che vivono nei paesi più industrializzati sono alla ricerca della loro identità, ma siamo solo agli albori di un’ idea di abbigliamento tribale (vestirsi in un certo modo per manifestare la propria appartenenza ad un gruppo di simili), lontani dal Sessantotto e dall’idea di diffusione e normalizzazione dell’anticonformismo. Oltre all’affermarsi di una società di livello medio con una propria cultura, assistiamo anche al declassamento delle generazioni più anziane a favore dei giovani, che dimostrano di essere i più avidi di novità. Si sviluppa e si espande una cultura giovanile che investe sia il gusto che lo stile di vita. Negli anni di transizione tra il Cinquanta e il Sessanta, è proprio nella nazione più conservatrice dell’Europa, l’Inghilterra e Londra in particolare, che le esigenze di rinnovamento si manifestano in modo più acuto. Teddy boys, mods, rockers, skinheads, punks: si presentano come eroi e depositari della verità a cui i ‘normali’ e gli adulti non possono più attingere; allo stesso modo però appaiono vittime compiacenti dell’industria della moda e della musica, del mito del nuovo, delle contraddizioni che la società ‘sana’ rimuove proponendosi ogni volta come ‘società civile’. In questi gruppi, stile di vita alternativi spesso di tipo “teatrale”, si confondono con lo scontento, la protesta, il rifiuto a conciliarsi con la frustrante realtà vissuta perché troppo normale rispetto ad esigenze esistenziali psicologicamente pressanti. Negli anni cinquanta il modello dominante era quello del perbenismo borghese e chi si opponeva, come l’esistenzialismo in Francia e Beat generation in America, restava di fatto emarginato dal tessuto sociale. Ciò testimonia che a fianco di una cultura egemone, iniziavano a coesistere altre culture in disaccordo con quella ufficiale. Dai primi anni Sessanta i fenomeni di controcultura, che si diffonderanno in modo massiccio a partire dalla seconda metà del decennio, saranno presi in considerazione sia dalla moda e sia documentati da media e industria culturale. Si pensi al film The Wild One, che ha consacrato e consegnato nei decenni successivi, il mito del ragazzo di strada, del teppista in T-shirt, giubbotto in pelle nera e potente motocicletta. Ma il 1968 renderà pubblico la rivolta contro i valori uniformi del consumatore, assieme alla rabbia, al disgusto per le società di tipo consumistico ed al desiderio di riscoprire, nello stile di vita, nell’arte, nella musica e nell’abbigliamento, il passato e le tradizioni popolari. La nuova tendenza allora sarà quella di stabilire una sintonia materiale (come ad esempio i viaggi in India) ed ideale (infatti nella moda e nell’arte prevarrà l’uso di materiali rozzi, simboli pagani, etnici..) con gli aspetti arcaici e tradizionali dei popoli poveri. Saranno proprio gli hippies, i beatnik a non conformarsi ad alcuna regola. Nel ’68 l’antimoda ripudia l’artificio e lo sfarzo, riduce le differenze sessuali promovendo e diffondendo una divisa, una vera uniforme. L’eskimo, il giubbotto impermeabile con chiusura lampo e ampie tasche, abbinato all’inseparabile sciarpa portata con i lembi svolazzanti sul petto o sulla schiena, si eleva a simbolo di libertà e di avventura. I pantaloni di velluto a coste, i jeans, le Clarks, i famosissimi scarponcini in pelle scamosciata con suole in gomma, la crescita di capelli e barbe lasciate incolte, proponevano un’immagine trasandata e lontana dai canoni della morale corrente. Ma è proprio il modo di vestire dei giovani delle periferie, specialmente quelli dei quartieri popolari inglesi, lo strumento principale con cui i gruppi marginali esprimono, più o meno consapevolmente, il loro dissenso verso la standardizzazione della società. Attraverso lo stile, le subculture rivelano la propria identità anche negli aspetti più nascosti, rafforzandola e differenziandola rispetto alle altre. Questi stili nascono entro uno specifico contesto culturale e non devono essere letti semplicemente come forme di resistenza o soluzione magica alle tensioni sociali. Piuttosto le subculture definiscono il loro stile da una mescolanza, da un ibridazione delle immagini e della cultura materiale alle quali hanno accesso nello sforzo di costruire identità in grado di conferire loro una relativa autonomia, entro un ordine sociale fatti di classi, differenze generazionali, possibilità di lavoro ecc.. Lo stile di una sottocultura è strettamente legato alla sua identità e auto-consapevolezza: ”Il gruppo deve essere capace di riconoscere se stesso nei significati potenziali più o meno repressi di particolari oggetti simbolici.”

Lo stile in particolare provoca una doppia risposta: viene, di volta in volta, o celebrato dalle pagine di moda o ridicolizzato e attaccato da quegli articoli che definiscono le sottoculture come problemi sociali. Nella maggior parte dei casi sono proprio le innovazioni stilistiche che attraggono per prima l’attenzione dei media. Sia il comportamento deviante che l’identificazione di un abbigliamento distintivo (oppure la combinazione di tutte e due) possono scatenare il panico morale. Qualunque sia il tipo di inizio che dà il via alla diffusione del fenomeno, finisce inevitabilmente con la sua simultanea propagazione e la riduzione di tensione dello stile sottoculturale. Alla fine i mod, i punk, i glitter rocker e così via possono essere integrati, riportati in linea, collocati “nella mappa di una realtà sociale problematica” che riscuote il consenso di tutti. In effetti la creazione e la diffusione di nuovi stili sono legati in maniera inestricabile ai processi di produzione, pubblicizzazione e confezione, d’altra parte sia le innovazioni mod che quelle punk costituiscono un feed back per l’alta moda e la moda in genere. Ogni nuova sottocultura stabilisce infatti nuove tendenze, genera nuovi look, nuovi sound nei confronti delle rispettive industrie, ovvero della moda, della musica, del cinema, e via discorrendo. Come le opere d’arte suscitano interesse per il modo in cui esplorano e modificano i codici che utilizzano in apparenza, così gli stili sottoculturali vengono creati, modificati e alla fine sostituiti. Questo concetto può servire a spiegare la successione degli stili giovanili del dopoguerra come una serie di trasformazioni. All’inizio compaiono alcuni elementi base quale l’abbigliamento, la musica, il ballo, il gergo, che si manifestano mediante un sistema intero di polarizzazioni, come quelle delineate da Hebdige: “Mods versus Rockers, Punks versus Hippies, Teddy boys versus Punks, Skinheads versus Punks”. Gli stessi elementi base compiono un cammino parallelo a quello di altre trasformazioni “normali” come l’alta moda o le mode lanciate dai magazines. L’illusione innocente delle apparenze che va dai teddy boy ai punk, fino ad arrivare ai futuri gruppi di ‘devianti’, non fa altro che dare una ‘falsa identità’ al singolo individuo, rendendolo vittima del suo stesso stile, con conseguenti critiche di approvazioni o di dissenso. I vari movimenti, in quanto violazione simbolica dell’ordine sociale, attraggono e continueranno ad attirare attenzione, a provocare censure e ad agire da canale di significazione della sottocultura. Gli oggetti tratti dai contesti più sordidi trovano una giusta collocazione negli apparati sottoculturali della moda, come nel caso del punk dove le catene del cesso vengono drappeggiate in graziosi archi sul petto, dove sacchetti di plastica nera vengono usati come vestiti, e poi ancora, le spille di sicurezza, estrapolate dal loro contesto domestico, che vengono infilate come macabri ornamenti nelle guance, negli orecchi, nelle labbra. Oppure maschere da stupratore e indumenti di gomma, busti di cuoio e calze a rete, scarpe dai tacchi a punta di stiletto, insomma l’intero armamentario del bondage- le cinture, le cinghie e le catene- vengono tirate fuori dall’armadio feticista e dal cinema pornografico per essere poi in seguito collocate nelle strade. L’abbigliamento rappresenta quindi uno strumento per stabilire e mantenere delle affiliazioni al gruppo che spesso è associato a specifici elementi vestimentari, siano essi o i tessuti e le forme, o un abito per esempio di Armani. L’abbigliamento fornisce contemporaneamente criteri sia di inclusione e sia di esclusione: per mezzo dei vestiti si prendono delle distanze da certi gruppi mentre ci si identifica con degli altri . Per esempio il giovane punk grazie al suo stile prende le distanze dalla cultura tradizionale, conformandosi al tempo stesso allo stile della sottocultura punk, in modo da essere accettato da individui a lui simili. La moda articola, così, una tensione tra conformità e differenziazione: esprime i desideri opposti di adattamento e di esclusione. “La moda consiste nell’imitazione di un esempio dato, soddisfa la necessità di adattamento sociale…e al tempo stesso risponde con la stessa intensità al bisogno di differenziazione, alla tendenza verso la diversità, al desiderio di costante cambiamento e contrasto”. Negli ultimi tempi, specialmente dopo l’avvento del punk alla fine degli anni settanta, viviamo un periodo in cui esiste una straordinaria scelta stilistica, ci sono dozzine e dozzine di street styles diversi dai quali poter scegliere, delle sottoculture diverse, differenti tribù stilistiche. Ognuna di queste coinvolge un modo di vestire, un modo di vivere, un atteggiamento, una filosofia che vengono espressi in quel modo di essere. Tuttavia l’impero della moda si è frammentato in centinaia di stili diversi tutti in concorrenza fra di loro, definendo ‘style tribes’ i look associati a gruppi di riferimento come mods, rockers, punk.., esemplificati da differenti etichette di moda. Per esempio i mods, rappresentati da Jil Sander, sono un branco completamente diversi dai Sex Machines, rappresentati invece da Tom Ford . I Ribelli, come quelli riprodotti da Alexander McQueen , possono essere facilmente distinti dai Romantici di Jhon Galliano. E non si tratta più di una questione di stato socio-economico o di età. I membri della tribù status symbol, come Marc Jacobs per Louis Vuitton, non hanno né più nè meno denaro dei membri dell’avanguardia artistica di Rei Kawakubo per Commes des Garçons, ma hanno certamente valori e stili di vita diversi. In alcuni casi non si fa altro che un mixaggio in termini di stili: si prendono delle collane associate agli hippies, le si uniscono a una canottiera di gomma associata al feticismo e al post-style e si aggiungono un paio di pantaloni a zampa d’elefante stile glam degli anni settanta, insieme a un paio di stivali Doctor Martens che ci ricordano i punk e gli skinhead. Queste sono tutte sottoculture che, storicamente erano in contrasto tra di loro; ma che oggi, nello straordinario supermercato dello stile, tutti questi pezzi possono essere recuperati e portati sulle strade. Un fenomeno eccezionale che appartiene al nostro tempo, ci parla del modo in cui il futuro può prendere il passato e farlo proprio.


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