mercoledì 27 agosto 2008

DOC MARTENS: LA LIBERTA' A GRANDI PASSI.

Mithology: i capi in pelle che hanno fatto la storia.


Insieme alle calze a reti, ai pantaloni e jeans risvoltati, alle lunghe gonne e ai pantaloncini bermuda, le Doc Martens – come meglio si conoscono Doctor Martens- sembrano non tramontare mai di moda: si sono imposte con il loro marchio indelebile nel guardaroba dello street style per più di quarant’anni. La più recente versione sono un paio di stivali lunghi fino al ginocchio in una collezione del 2003 di Jen Paul Gaultier.
Dal 1960, gli stivaletti Doc Martens sono stati una delle più popolari marche di scarpe tra la classe operaia e dei giovani di tutto il mondo con più di 1460 modelli caratterizzate dai famosi otto occhielli disponibili in pelle nei colori del nero o del rosso ciliegia.
Ma la storia dei leggendari stivaletti inizia nel 1945 in Germania quando un certo Dr.Klaus Martens, che avuto un incidente sulla pista da sci, sviluppò una calzatura in modo tale da camminare fino alla sua guarigione. In effetti perfezionò la suola della scarpa con un cuscino pneumatico con l’aria intrappolata all’interno che provvedeva sia al conforto che al supporto del piede. Insieme a un amico universitario, il Dr. Herbert Frank, recuperarono la gomma da un aerodromo abbandonato della Luftwaffe e uno stock di pantaloni in pelle degli ufficiali che vennero riciclati per creare le calzature.
Dopo vari rifiuti da parte dei produttori, una società inglese dal nome di Bill Gripps, acquistò i diritti esclusivi della suola pneumatica nel Regno Unito.
Queste scarpe che già erano rinomate tra i minatori e i soldati militari, vennero modificate in una o due varianti del modello tedesco: si trattavano di stivaletti in pelle rigida con la cucitura gialla ai bordi, a due tonalità di colore e con la suola solcata che lascia una traccia riconoscibile. Il brand successivamente fu rinominato AirWair.
Questi stivaletti con i lacci furono indossati dapprima da differenti gruppi di lavoratori come ad esempio dai poliziotti, dai postini, dai scaricatori di porto per poi essere adottati dalla classe operaia inglese.
La prima figura che sfoggiò Doc Martens fu il deputato Tony Benn. Il suo stile fu immediatamente emulato dai studenti della sinistra tant’è che i ‘Docs’ divennero un oggetto cult di moda, come furono gli stivaletti Clarcks Desert per i giovani sessantottini.
Le Doctor Martens furono in pratica anche utilizzati in situazioni violente divenendo parte dello stile preferito dei giovani ribelli. Si presentavano come un simbolo di individualità.
I Sex Pistols, i The Who, The Clash, The Cure, Madness, The Smiths, PJ Harvey- la lista dei fans delle Doc Martens nella scena rock inglese era effettivamente interminabile.Spesso veniva conferito un aspetto alquanto rozzo, semmai indossati dai punks che li adattarono al loro gusto particolare aggiungendovi borchie, spille e piastrine di metallo.
Gli stivali attraversarono un periodo di astrusità quando gli skinhead e gruppi neo-fascisti li trasformarono in un oggetto chiave del loro genere di abbigliamento. Questi skinhead risvoltavano i loro jeans fin su ai polpacci per mostrare le loro immacolate Docs nere e nel color vinaccio in un modello alto con non meno di ventidue occhielli.Il potere delle Doc Martens è cresciuto sempre più quando divennero delle calzature unisex nel periodo in cui le donne erano alla ricerca del potere e dell’indipendenza incominciando a liberarsi da tacchi alti, dal reggiseno e di altri simboli dell’identità di genere. Nel 1994, la metà della clientela era al femminile. Gradualmente, il simbolo della controcultura inglese fu esportato anche all’estero e fu nel 1988 che il brand ottenne dei punti vendita in tutto il mondo.
I membri del movimento grunge, a Seattle, incominciarono ad indossarle con le camice a scacchi e pantaloncini larghi.
Anche nella moda sono le scarpe preferite di Ann Demeulemeester che li abbina ai suoi abiti strutturati e minimalisti, una vera innovatrice delle forme e delle linee. Dall’Australia a Hon Kong tuttavia divennero un must per tutti i piedi dei teenagers. Non mancano affatto le Doc Martens personalizzate in vari colori, con applicazioni di scritte, ricami come quelle della stylist Maria Chen del 2003 in una versione punk.

LA TRIBOLAZIONE DEL PERFERCTO


Mithology: i capi in pelle che hanno fatto la storia

Insieme ai jeans e T-shirt, il “Perfecto”, il giacchetto nero dei motociclisti ideato dalla Schott, è uno dei rari articoli dell’abbigliamento che si vede sia all’inizio che alla fine del XX secolo, senza mai passare di moda.
La storia del mito incomincia quando nel 1928 a Irving Schott, produttore di pelletteria, gli fu commissionato da parte della Long Island Motorbike, il compito di trovare un abbigliamento pratico e funzionale per l’entusiastico sport motociclistico che stava emergendo.Figlio di un immigrato russo, successivamente aprì una piccola attività, la “Schott&Brothers”, in uno scantinato di un palazzo all’ est Broadway di New York, producendo dapprima impermeabili venduti porta a porta. Fu soltanto nel 1928 che riuscì ad aprire un negozio nel sud Amboy, nel New Jersey, dove Irving Schott contrassegnava amorevolmente i suoi giubbotti con il nome del suo sigaro preferito - i Perfecto. Con un prezzo da cartellino pari a 5,50 dollari, il Perfecto chiuso davanti da una zip, avvitato, fatto di pelle di cavallo, offriva una moltitudine di dettagli ingegnosi: innanzitutto una facile accessibilità nel prezzo, una chiusura zip trasversale, dei cambi di tasche con bottoni a scatto e in più aveva un pezzo di pelle triangolare sotto le ascelle per una maggiore libertà nei movimenti. Inoltre alla chiusura lampo erano attaccate delle piccole catene, in modo tale da permettere un’apertura facilitata anche con i guanti, e una fibbia al colletto. Per finire le maniche erano affusolate ai polsi per non far entrare il vento all’interno e un rinforzo alla schiena, per mantenere una postura eretta.
Nello stesso periodo, si trovano anche altri tipi di giacchetti che hanno fatto la storia, come le giacche da volo- i bomberini- progettate dal corpo aereo USA Force. Dalle produzioni di Buco a quelle di Lewis, la maggior parte dei produttori di giacche in pelle presero ispirazione dal modello Perfecto, il primo ad avere la chiusura lampo.
Tuttora, a parte qualche piccolo dettaglio, il modello originale del Perfecto è cambiato poco, tranne per la sostituzione della pelle di cavallo con quella di vitello (avvenuta nei primi anni Cinquanta) e l’introduzione di una versione femminile, del tutto simile a quell’originale.Nel 1953 con l’uscita del film“The Wild One”, che ebbe un successo clamoroso, il design attento e curato del giacchetto si azionò come icona fashion, diventando il simbolo della ribellione giovanile proprio di quell’epoca.

Nel film Marlon Brando, non toglierà mai il suo personalizzato Perfecto caratterizzato da una cintura alla vita e delle lettere sul retro BRMC (Black Rebel Motocycle Club) con sotto un teschio simbolo di morte.
Nel 1955 con la morte di Jeams Dean, avvenuta in un incidente stradale, che proprio in quel momento indossava un Perfecto sopra a dei pantaloni sportivi grigi di flanella, il giacchetto si addensò di significati divenendo un mito, un’icona e uno strumento per ogni tipo di protesta da parte delle gang giovanili.
Tant’è che il giacchetto nero dei motociclisti, attribuito agli Hooligans, teppisti e delinquenti giovanili, fu addirittura bandito nelle scuole inglesi per molti anni perché simboleggiavano un’adolescenza germogliante, i "HOOD" (gli incappucciati).
Nel periodo flower degli hippyes indubbiamente si preferì la giacca frangiata in pelle di daino, ma il Perfecto ritornò forte come non mai nel periodo dei punk che, mostrando la loro ostilità verso la società, modificarono i connotati con dei tagli, squarci e grandi spille ficcate nella pelle del Perfecto. Verso la fine degli anni Settanta molti fashion designer se ne impossessarono, trovando così una giusta vetrina nel mondo degli articoli del lusso, andando in questo senso molto lontano dal concetto dei primi giacchetti dei motociclisti e dei ribelli.
Da Elvis a Bruce Springsteen e dai The Clash, le rock star hanno avuto il modo di esibire il Perfecto sul palcoscenico e il suo potere di attrazione non è mai diminuito negli anni a venire. Negli anni Ottanta, poi, diviene un abito da sera, un perfetto tuxedo specialmente nei party parigini come nei club Les Bains Douches e Le Palace, che fu indossato sopra a dei pantaloni fasciati o sopra le minigonne.
Solitamente il giubbotto di pelle viene ricondotto ad un immaginario fatto di bikers o rockers: da sempre, infatti, è un indumento prettamente maschile e con un’immagine abbastanza aggressiva.Ma negli ultimi tempi si sono viste gradevoli interpretazioni di questo capo e versioni anche molto femminili.
Per esempio nella collezione invernale di Hermès uomo nel 2003 compare un giacchetto da motociclista in pelle laminata di lucertola del tutto simile al Perfecto. Altri esempi ci vengono forniti dalle collezioni femminili di Jean Paul Gaultier che porta in passerella una versione di “chiodo” lucido abbinato a gonna/kilt e tacchi molto femminili; lo stilista giapponese Yamamoto propone invece una versione di giubbino molto corto e dalle forme asimmetriche portato sopra un abito lungo e sobrio sovrapposto a pantaloni. Immancabili gli anfibi, fil rouge dell’intera collezione.
Infine, il visionario Junya Watanabe propone donne che assomigliano vagamente a degli arlecchino futuristici (solo per il cappello però) con chiodo classico, ma molto corto e pantaloni slim fit. Il designer giapponese rilegge il look girlish e romantico ma anche molto “permale” delle ragazze punk del villaggio globale che indossano il chiodo come fosse una divisa.
Il mitico blouson di pelle nera, portato alle vette della notorietà da Marlon Brando, è reinventato in mille varianti.

Uno spettacolare modello del giubbotto Perfecto di pelle nera rielaborato da Jhon Galliano per Dior. Collezione prèt-à-porter 2003-2004


CORPI NUDI: TRA MODA E ROCK.

Gabbie toraciche ansimanti su quasi tutti i palchi: rock, pop, metal, punk, techno, carichi di messaggi, truccati o tatuati, petti nudi dai palchi minimal come quelli glam alle console techno…
Simbolo del rock e della sua idea di trasgressione, il petto nudo ostentato sul palco ha invaso passerelle e servizi di moda, infiltrandosi anche nei videoclip e nell’ Haute Couture. Mantiene inalterato il suo carisma anche se la tendenza è quella di scoprire sempre di più corpi modificati, tatuati, mutati.

La musica rock degli anni settanta era un inno alla nudità con Iggy Pop, Mick Jagger e David Bowie: era una nudità sexy e selvaggia, enfatizzava la brama di sovversione di quei tempi. Inoltre anche Jim Morrison, ritenuto l’icona sexy del rock, non ostentava a mostrarsi a dorso nudo: in particolare su una fotografia che ha fatto di oggi simbolo del rock, si pone in una posizione crocifissa dai suoi capelli riccioluti e scompigliati e in un paio di pantaloni di pelle nera aderenti.
Erano gli anni in cui la moda aveva già digerito il nude look di Yves Saint Laurent del 1967, gli abiti degli hippies con tutte le loro trasparenze e, soprattutto, le minigonne e gli hot pants.
Poi negli anni Ottanta, la musica si è spogliata sempre di più, con Billy Idol, Freddy Mercury, Prince e George Michael in “I want yuor sex.”
In pieni anni Ottanta, la drammatica presa di coscienza del virus HIV provoca un shock totale e una forte inversione di tendenza. Questo coincise con un cambiamento brusco negli stili vestimentari sia maschili che femminili, che divennero improvvisamente più provocanti.
La musica rock e quella pop si rivestono: la moda continua ad essere sexy e ‘vedo non vedo’, ma non propone più il nude look integrale.
Fu allora che si diffuse la moda della gomma, della pelle, degli indumenti sportivi attillatissimi, del design estremo di Azzedine Alaia. Un tipo di abbigliamento che voleva suggerire l’idea dell’armatura difensiva che invitava al voyeurismo ma ne vietava il contatto.
E’ l’apoteosi dell’esibizionismo habillé, anche se rimane un’impostura da guardone. Persino Madonna, che ha spesso giocato con la nudità quand’era esplicita, ne ha sempre fatto un uso moderato, come c’è da aspettarsi da una diva sicura di sé.
Nel minimalismo anni novanta la nudità trionfa nettamente nella moda. La musica assume dei valori diversi, e non sente più il bisogno di spogliarsi. I primi anni novanta sono caratterizzati da un design che accentua l’uso decorativo del corpo, come suggeriscono le splendide creazioni di Ferrè, Versace, Jean Paul Gaultier e Vivienne Westwood.
Dopodiché cambia tutto: la profonda crisi socio-economica mette una volta per tutte al top della moda il gusto minimalista. Il corpo allora non ha più un valore fisico, ma diventa liscio, eccentrico, depilato ed eternamente giovane, completamente celebrale.
Nel vissuto la gente guarda un corpo esibito come un contenitore di concetti celebrali, un corpo quasi senza materialità.
I designer creano abiti diafani, come se i vestiti stessero sotto la pelle, usando pellicole artificiali fatte di fibre sintetiche.
Nella nuova moda il gusto per la vita ‘reale’ nuda e cruda ha cessato di dare un’immagine sexy del nudo umano, perché i corpi in mostra non hanno nulla di carnale. Corpi nudi e pelle offrono altro che un’alternativa agli abiti.
L’anoressia si fa moda, dando un’idea dell’estetica sia femminile che maschile praticamente intercambiabili.
Mentre nel corso del decennio la musica rock si riveste, mentre la moda e la sua comunicazione si denudano in una spoglia ricerca di nuove espressioni sempre più vicine alla vita dei comuni mortali.



















































LE ANTIMODE ISTITUZIONALIZZATE DEGLI ANNI OTTANTA.


“E’ la stessa cosa che scegliere una lattina di minestra dello scaffale del supermercato, dove si ha di fronte un’enorme varietà: oggi esiste il supermercato dello stile con una scelta straordinaria, e uno può optare per uno stile che più gli piace e adottarlo per una serata, per un mese o per il resto della vita…”
Ted Polhemus

L’antimoda, ancora oggi, propone la sua alternativa libertaria con una forza tale che nessun creatore contemporaneo può permettersi di ignorare i fenomeni spontanei che nascono dalla strada. Ciascuno li integra nel suo lavoro.
Il punk può essere considerato l’ultima antimoda sorta spontaneamente e la prima di una lunga serie di trends e di look come il New Romantic, lanciato proprio dalla stessa Westwood, New Dandy, New gothic, Post Atomico ecc.., che si formeranno dalle sue ceneri in alternativa al prèt-à-porter ufficiale, con la differenza di essere autorizzate e addirittura incoraggiate dal sistema della moda, divenendo antimode istituzionalizzate.
Il tentativo di analisi di classificazione di questi molteplici look, di questi diversi e differenti abiti–divisa, rappresenta uno dei possibili percorsi che permettono di mettere ordine in questo intricato groviglio di identità e sottoculture giovanili che popolano gli anni Ottanta.
Prendiamone alcune: quelle che generalmente occupano una posizione di spicco nella memoria e nell’immaginario collettivo e che pertanto possono essere considerate più rappresentative di quell’epoca. Rigorosamente in ordine alfabetico: New Gothic-o Goth- (in Italia impropriamente definita moda dark), NewRomantic,Post-atomico.
Il movimento Goth può essere considerato una declinazione, un prolungamento in stile gotico del genere Punk. L'abbigliamento spazia quindi dalla moda punk con dettagli androgini a dei capi ispirati al Rinascimento o alla moda vittoriana, o alle combinazioni di questi stili.
I giovani che nel corso degli anni Ottanta abbracciano la sottocultura Goth adottano un total-look in cui domina rigorosamente il colore nero. Tipicamente le caratteristiche della moda gotica consistono in un uso massiccio di questo colore con dettagli argentati o di peltro, ma questo schema può variare. In linea di massima si ha l'uso di un trucco marcato, principalmente nero (ma può comprendere altri colori, se pur in misura minore), borchie, stivali pesanti con inserti in metallo (come quelli New Rock, considerati la marca di stivali gotici per eccellenza) oppure gli ancora più classici pikes (stivaletti a punta di pelle o velluto con le fibbie laterali). Gonne stratificate con dettagli in pizzo, jeans o pantaloni in pelle nera molto aderenti e rigidi , mantelli, giubbotti e cappotti
lunghi fino ai piedi di pelle spesso decorati con scritte o spillette e infine calze a rete. Sono inoltre comuni piercing e tatuaggi, anche se inseriti nella moda gotica a partire dalla metà degli anni novanta.
I capelli molto lunghi con la scriminatura centrale o rasati sulla nuca, con ciocche sparse che cadono sulla fronte vengono spesso tinti: dal nero come colore di base, talvolta aggiungendo blu, viola o rosa.

Lo stile viene ulteriormente rinvigorito dalle influenze del glam rock che introduce elementi legati all'androginia: non c'è molta differenza tra la moda gotica femminile e quella maschile. Ad esempio non è molto comune trovare un uomo o ragazzo goth che veste una gonna vittoriana, ma non è raro vederlo con kilt o gonne corte, magari abbinate a dei pantaloni. Ma anche un paio di calze a rete, che tagliando alcune parti, si trasformano in una sorta di maglietta.
Per le donne invece vengono adottati abiti maschili come gessati, gilet, o pantaloni dal taglio maschile. Le stesse influenze glam rock apportano una teatralità del trucco usato da entrambi i sessi e spingendo all'uso di accessori esuberanti o morbosi come rappresentazioni di pipistrelli, bare, teschi ed ossa.
Quindi indumenti come gonne tagliate, calze a rete strappate, accessori come manette, piercing e catene sono associati alla libertà sessuale ripresa dal tema punk, così come il gusto della provocazione, enfatizzato da un trucco pesante ed incisivo. La volontà di distinguersi in una società giudicata troppo conformista si traduce in dei codici d'abbigliamento opposti a quelli utilizzati normalmente. I gioielli sono argentati e non dorati; gli abiti sono strappati, lacerati ed arricchiti da dettagli come spille, ricami, pezze o toppe. Alcuni capi sono molto strutturati, come ad esempio i pantaloni con numerosi lacci, inserti metallici, cerniere, ecc..
Una caratteristica molto importante di questo tipo di moda è la produzione artigianali dei vestiti, con il forte uso della personalizzazione, dato che la sottocultura gotica si oppone alle convenzioni su come un goth dovrebbe vestire. Anche se possono essere identificati temi ricorrenti, si possono osservare dei capi molto diversi e unici nel loro genere. In questo contesto è possibile ammirare una gamma molto estesa di colori, da completi totalmente bianchi, a rosso porpora o scarlatto ed ovviamente il nero. Tra questi estremi, si può osservare di tutto: dal moderno, al classico, da abiti con un taglio conservatore- tipici del periodo vittoriano- a capi logori e intenzionalmente sofferti.

Lo stile goth è stereotipato come dark, oscuro, a volte morboso, erotico o esageratamente enfatizzato, quasi camp. L’atteggiamento dei giovani Goth appare disilluso e nichilista, evidenziando una particolare attrazione verso suggestioni e atmosfere languide, decadenti e, a tratti, funeree. Tutto ciò è ricercato nelle canzoni- come quelle dei The Cure e dei Sister of Mercy- nei libri- come le opere di Edgar Allan Poe, di Charles Baudelaire o il Dracula di Brain Stoker- e nei film, dove prevale il genere horror ma anche quello d’autore e d’essai. Naturalmente la dark wave ha anche le proprie icone di riferimento come la sepolcrale ed enigmatica Siouxsie Sioux, il leader dei The Cure Robert Smith e Ian Curtis dei Joy Division.
In contrasto a tutto ciò esplode verso gli inizi degli anni Ottanta il New Romantic con il suo corredo ricco di accessori visivi, fatto di atteggiamenti neo-dandy, vecchi merletti e look stravaganti. Il New romantic è il pop della nuova generazione di adolescenti: ragazzi desiderosi di distinguersi da un certo conformismo della decade precedente, prendendo le distanze dall’ossessivo punk o dalla rozza istintività dei nuovi metallari.
Anche se è stato un fenomeno circoscritto a una frangia di punks o ex-punks ossessionati dal trucco e dai vestiti, dall'essere un intrigante fenomeno nato intorno ad un club e all'interesse per i nuovi sintetizzatori, il "New Romantic" diviene un movimento che influenza almeno tutta la prima metà degli anni Ottanta, non solo come approccio verso la musica, ma anche come categoria stilistica, tematiche, espressione e moda.
Dal punto di vista dell’abbigliamento il genere New Romantic si caratterizza per un forte eclettismo. I giovani degli anni Ottanta, prevalentemente in Inghilterra e Londra, esibiscono un’immagine alquanto estrosa che può per certi versi apparire frivola ma anche sognante, evocatrice e nostalgica, frutto dell’assemblaggio in uno stesso insieme di forme e stili più differenti del presente e delle epoche passate. Un cocktail tra Medioevo, Ottocento e stile hollywoodiano degli anni Trenta: abiti lunghi di raso, damaschi, broccati, jabot e stivali con fibbie dorate, basette lunghe e codino col fiocco. Ma anche tessuti paisley, veli da harem e gioielli che riflettono l’interesse verso un immaginario esotico di epoca coloniale di cui la figura del pirata è emblema. E come è stato per lo stile Punk, è ancora una volta Vivienne Westwood a legittimare e ufficializzare, dedicando proprio al “look pirata” la sfilata parigina del marzo 1981 (come è stato anche il leggendario negozio 'Oasis' di Birmingham, dove per qualche tempo, prima di divenire famosi, lavorarono anche un tale Boy George e Martin Dingwall dei Sigue Sigue Sputnik, i quali cercavano di affermarsi come designer di pantaloni bondage e cappelli muniti di spille da balia).

Vivienne Westwood: collezione “Pirata” 1981

L’estroso genere New Romantic che in virtù del “citazionismo”, del carattere “caricaturale” e della mescolanza degli stili diversi che lo caratterizzano appare perfettamente in linea con l’orizzonte culturale di tipo postmoderno che contraddistingue gli anni Ottanta.
Da Parigi poi, nel 1983, in contrasto con l’immagine di una donna che torna ad essere mitica ‘una femme fatale’, una femminilità esasperata da spacchi, scollature e trasparenze, sulle passerelle compare la moda Post Atomica, di cui si erano già avute le prime avvisaglie nell’anno precedente, con ragazze dall’aspetto scarmigliato, patito, e con addosso un mucchio di stracci. Dagli anni Settanta non si era più vista una contromoda così minatoria nei confronti dei valori tradizionali. In quegli anni lo straccetto, l’eskimo, la trovata anticonformista, se erano partiti come ribellione spontanea all’insegna dell’individualismo contro i diktat della moda imposta dall’alto, presto si erano trasformati nel livellamento seriale delle divise militariste e finto poveriste.
Quest’antimoda spontanea e rivoluzionaria, anche se in parte manovrata dall’alto, diventò presto un’altra dittatura che portò a un irrigidimento nel vestire, spense lo spontaneismo iniziale e nel decadere riaprì le porte al nuovo conformismo stilistico del prèt-à-porter di lusso. Il sorgere perciò dell’antimoda Post atomica, da sopravvissuti, da fine del mondo, da catastrofe nucleare, espressa da abiti cenciosi, consunti, spiegazzati con linee indefinite e lunghezze fluttuanti, senza bottoni e cerniere, da cuoio e pelle strappati, da colori grigiastri, nerastri e terrei.

Allo stesso tempo però, non si può attribuire solo ad un rinato spirito spontaneista e rivoluzionario di questa nuova moda degli stracci, in quanto si connota subito come fenomeno strategico di rottura e di contrasto, rivolto alla fascia dei giovani alternativi sorta con la New Wave, in cerca di nuovi modelli con cui identificarsi pur nella libertà dell’interpretazione personale.
L’abito finto povero, informe, scucito che ingoffa, degli stilisti giapponesi – Yohji Yamamoto, Rei katawakubo per Comme des Garçon – e dall’ala più estremista inglese – Katharine Hamnett, Zendra Rodes, Jhon Galliano –diventa subito il nuovo look d’avanguardia, un modo snobistico ed elitario per differenziarsi e per uscire dai già vecchi schemi perbenisti e neo-borghesi imposti dal prèt-à-porter degli ultimi anni.
Del resto è risaputo che andare contro corrente è un modo per distinguersi, di non confondersi con la massa, allo stesso modo del seguire passivamente le indicazioni della moda. Quindi, se l’estetizzazione compiuta dalla moda, nel recupero dell’eleganza e del buon gusto, nei primi anni Ottanta si è estesa ormai quasi capillarmente a tutti gli strati sociali, esaurendo anche la sua carica innovativa, emerge la necessità di evadere di nuovo con forme di fatto. Queste antimode, che sorgono come formulazioni rivoluzionarie e sovversive, si pongono in alternativa reale solo ai contenuti estetici e non ai meccanismi del sistema della moda, come era successo negli anni della contestazione, in quanto entrano a farne parte come fenomeni. Ciò, inoltre, è la dimostrazione del pluralismo e dell’eclettismo ad oltranza in cui la moda si fa portatrice negli anni Ottanta, ampliando il suo raggio d’influenza ad un infinito numero di correnti e stili che, seppur diversi e spesso in contraddizione fra loro, convivono senza eliminarsi a vicenda. Ma è anche il presupposto della futura decadenza e disintegrazione della moda per eccesso di fenomeni nella seconda metà degli anni Ottanta.

IL PUNK: L'ESTETICA DEL KITSCH.

“Si offriva alle macchine fotografiche nella propria inespressività, nella rimozione dell’ espressione, il rifiuto di parlare e di essere collocato.
Questa linea- il solipsismo, la nevrosi, la rabbia cosmetica-
aveva le sue origini nel rock.”

Nato con gruppi come Sex Pistols e The Clash, incarnato da personaggi ‘rivoltanti’ come Jhonny Rotten e Sid Vicious, il punk è diventato astutamente uno stile sottoculturale alternativo e provocatorio, prima di seguire l’inevitabile parabola del successo, dell’assorbimento del sistema e della trasformazione nella moda in un look da strada.
All’apice- o al punto più basso- dell’eccesso del kitsch, del cattivo gusto, degli anni della disco, i punk rianimano il mito della pelle, avendo ora il modo di modificarne le sovversive connotazioni.
Il loro stile non era quello di imitare i motociclisti anni Cinquanta o quello dei rockers anni Sessanta , ma piuttosto a richiamare l’ attenzione a descrivere e analizzare quello che era, per loro, un meticoloso rituale ben codificato: l’abito cerimoniale rappresentato dal sacrosanto giacchetto di pelle. Gli squarci, gli strappi, le borchie, gli accessori di pelle fetish e l’esplosivo taglio di capelli mostravano chiaramente una posizione aggressiva combinato a un certo piacere derivato da effetti e da artifici.
Questioni di artificio e di autobiografia giocarono anche una parte importante all’interno del punk, che può essere spiegato dal trasformista David Bowie.
Il suo costante uso di artifici influenzò la formazione del punk attraverso la versione dell’eccesso visivo e della trasgressione che condivideva anche con Alice Cooper. Come questo, Bowie mise deliberatamente in opposizione il naturale aspetto del rock in jeans con una serie di immagini espressamente costruite.
Nel 1971 Bowie fu descritto da un giornalista ostile del Daily express come “La popstar con le palpebre verde veleno e i capelli a spazzola da gabinetto arancione.”
Le differenti immagini dei primi anni settanta ruotavano intorno a idee o connotazioni ambigue di travestimento e bisessualità. Il punto centrale per Bowie, dunque, stava nel gioco della distinzione tra prima e terza persona. L’artificio e l’esagerazione rendevano ambiguo qualsiasi semplice riconoscimento come se fosse un travestito o un bisessuale. Tra gli artisti punk tale confusione fu rara, anche se occasionalmente fu enfatizzata da Siouxsie Sue
in alcune delle sue prime apparizioni attraverso forme androgene.
Invece lo stile visivo punk, come l’ atteggiamento nei confronti dei testi musicali, sembrava più interessato alla de-sessualizzazione. I musicisti mettevano in scena se stessi in modo da apparire piuttosto non attraenti in termini convenzionali, oppure utilizzavano l’artificio e l’esagerazione nel tentativo di parodiare gli accessori d’abbigliamento feticistico, della sessualità ufficiale: questo era l’intenzione che motivava l’uso di pantaloni bondage, delle calze a rete ecc..
I principali antecedenti musicali del punk, come il pub rock e il glam rock offrivano due immagini visive contrastanti. Il pub rock significava jeans e T-shirt ( che significava a loro volta informalità, una reazione contro l’accuratezza dell’abbigliamento delle superstar), mentre il glam, attraverso Bowie, Bolan e così via, si colloca praticamente all’estremo opposto. Entrambi però costituivano un punto di partenza per la sartoria dei gruppi punk.
I New York Dolls incominciarono a creare i fondamenti del movimento punk; il loro modo di vestire in pelle rossa si basava sulle guardie Rosse di Mao in Cina.

Nello stesso periodo, il famosissimo manager dei Sex Pistols, Malcolm McLaren creò l’immagine di questo gruppo oltraggioso, volendo concepire una nuova forma per la musica rock. Johnny Rotten, il leader del gruppo, si esibiva sul palco a volte con abiti vecchi arricciati con spilloni di sicurezza mentre il più delle volte indossava magliette strappate e logorate sopra a dei pantaloni in pelle aderentissimi con legacci di cuoio che passavano da un ginocchio all’altro, i cosiddetti pantaloni bondage usati specialmente dagli addetti del feticismo.
Il suo seguace, il famosissimo Sid Vicious, invece, si mostrava con segni di auto-lesioni, a torso nudo con catene e lucchetti intorno al collo in pantaloni di pelle decorati con borchie di metallo. Dopo la sua scioccante e scandalosa apparizione in televisione, fu censurato dai media inglesi. Il look dei Sex pistols aggiunse una serie di elementi nuovi alla base di jeans e giacche di pelle. Alcuni di essi ebbero breve vita e non arrivavano a diventare parte della moda punk corrente. Tra questi cravatte vistose, gilè con maglioni di mohair rosso e corpetti. Tra le innovazioni fondamentali vi furono invece magliette strappate, pantaloni aderenti lucidi e poi pantaloni sado-maso, oltre a una serie di accessori: braccialetti e cinghie decorati con borchie, catene, spille di sicurezza, crocifissi e collari da cani. L’insieme era coronato dai capelli dritti, anche se l’uso di tingerli a colori vistosi fu adottato in seguito dai fans.
Un'altra figura che originò il look del punk fu Billy Idol, che incominciò la sua carriera come cantante per il gruppo “Generation X”. In effetti lui portava capelli cortissimi ossigenati e sfoggiava capi in pelle mostrando i suoi esorbitanti tatuaggi,
anche se la sua musica si avvicinava più al rock-pop che al punk.
A Londra, alla King’s Road, i look vanno e vengono, a volte con velocità allarmante. Come spiega Chris Sullivan, nel suo libro Punk “camminando lungo King’s Road un sabato si possono vedere le mode, gli stili degli anni Cinquanta e Sessanta; la pelle, la gomma, il caucciù, i metalli e ascoltare rock’n’roll, dub, funk e soul degli anni Sessanta . Si ha l’impressione che potrebbe succedere di tutto e che si potrebbe indossare qualsiasi cosa. Ed è quello che accade in entrambi i casi”. Al numero 340 della King’s Road, Vivienne Westwood e Malcon McLaren aprirono un negozio d’abbigliamento chiamato “Let it Rock”, che dal 1971 fu frequentato dai leggendari rockers e dai teddy boys. Nel 1974 lo modificarono sai nel nome “Seditionaries” sia nel genere vendendo accessori fetish e sado-maso. L’anno seguente la coppia della moda, ribattezzarono il negozio in “Sex” .

Dietro un’insegna rosa shocking di plastica, si vendeva tutto quello che ha fatto dello stile punk come noi tutti lo conosciamo: abiti strappati e perforati da spille, accessori sadomaso, catene, anfibi e pantaloni di pelle nera, lacci e lamette, collants a rete, scarpe con alti tacchi a spillo. Lì dentro si vendeva un mondo alla rovescia, fatto di antagonismi: anticristi, svastiche, crocifissi capovolti. Inoltre c’era Jordan, idolo del mondo punk, che accoglieva i clienti in calzamaglie strappate e con abiti di gomma.
Al puro e semplice contrasto delle camicie degli hippy a motivi chiari e floreali, Vivienne Westwood fantasticava con magliette rappresentati immagini porno, slogan aggressivi e anarchici, minigonne di pelle e lattice e pantaloni bondage attillatissimi con appunto le cinghie. Con un altrettanto pizzico di ironia, le cravatte in pelle divennero sottili come bastoncini, mostrando un po’ di sarcasmo di fronte ad un mondo che precipitava sempre di più.
“Ciò che Vivienne Westwood chiama ‘abbigliamento da sfida’, diventa evidente la rottura tra naturale e artificiale. Veniva attribuito valore intrinseco al perverso e all’anormale che erano trasportati nelle strade, dove mantenevano le loro connotazioni proibite”.
A un certo punto i cambiamenti e le innovazioni si irrigidiscono in un “punk look” di base, con una gamma di varianti possibili. I suoi princìpi di organizzazione si basavano sull’uso della fasciatura e dello strappo. Lontanissimi dai vestiti svolazzanti e larghi dell’epoca hippy, quasi tutti gli indumenti maschili e femminili erano stretti, fascianti e aderenti al corpo. Il punk riprese, in un certo livello, la tendenza degli anni Settanta: quello di portare alla luce il repertorio d’immagini bondage e del suo sado-masochismo.
Il punk look prese quelle immagini dalle riviste pornografiche e dalla decadenza chic per incorporarle in uno stile d’abbigliamento da strada insieme agli oggetti più quotidiani come spille di sicurezza e sacchi della spazzatura.
L’impellente desiderio di scioccare per mezzo dell’esibizione, di ciò che avrebbe dovuto essere nascosto è il tema chiave del punk, in fatto che gli indumenti rifiutavano di essere addomesticati ostentando la propria natura provvisoria.
La cultura di massa diventa disperatamente vitale: gli abiti strappati, aggrediti dall’energia, suggeriscono il sesso e, come la stessa musica punk, sottintendono una distruzione creatrice del nuovo. Le magliette e gli altri indumenti bucati e strappati, come l’orecchio, il naso e anche la bocca trafitta da spille, potevano provocare un effetto di shock oppure il procedimento poteva venir incorporato dal mondo della moda come ad esempio attraverso il riconoscimento specialmente delle spille come un nuovo tipo di decorazione e di gioiello.
All’incirca di qualche anno, anche Parigi fu raggiunta dal fenomeno punk. Le ragazze si comprimevano in pressanti corpetti e bustini, le gambe ermeticamente costrette in calze a reti tenute da reggicalze, mentre i ragazzi erano vestiti in pelle nera con scarpe a punta. “Il cattivo gusto esulta” come si legge in alcune righe di un articolo del quotidiano francese Le Monde.
Allo stesso momento sulla scena di New York imperversava l’Underground che stava prendendo forma con Patti Smith, The Ramones, The Cramps, i Velvet Underground di Lou Reed, che sono considerati insieme a Iggy Pop, i padrini del punk.
I Ramones vestivano in uno stile che divenne un classico: jeans bucati e strappati alle ginocchia, delle semplici magliette indossate sotto alla giacca di pelle nera che alcune volte portava delle catene sulle spalline; mentre i Cramps furono il primo gruppo a lanciare il genere “Psychobilly”- una combinazione impossibile tra il punk e il rockabilly - creando uno stile da film horror: pantaloni di pelle o a imitazione, chiffon e tessuti leopardati completati da un intero assortimento del corredo fetish. Una volta che il punk stava sfumando, un’ondata gelida fu introdotta da Joy Division sviluppando un sobrio ricambio estetico che alcuni anni dopo, si trasformerà nello stile Gotico con gruppi musicali come ‘Sister of Mercy’ e i ‘The cure’. I vestiti erano essenzialmente in pelle nera, ma si trovano anche impermeabili color cachi, giacche militari e gabardine pesante; “Sembravano usciti da un film di Hitchcock” li definisce un articolo “Le Monde” del 1979. Anfibi, pantaloni in pelle e giacche a collo alto formavano l’apparenza di queste futuristiche guardie persi in un Inghilterra zoppicante sul limite di una seria recessione. A partire dal 1978 i musicisti che avevano un background punk scelsero la strada realista-populista oppure quella sperimentale- d’avanguardia. E il crollo della vecchia unità punk fu messo sempre più in evidenzia dalla nuova musica pop che dava per scontato che il punk non contasse più a nulla. Fin dal dicembre ’77 qualcosa chiamato come “power pop” fu propagandato come alternativa spensierata al punk. Attraversato fin dalle fondamenta da quelle spinte e pressioni conflittuali, il punk ha avuto un momento di gloria breve ma ha prodotto effetti che sono stati e restano di grande portata.


Ragazzi punk a Londra in King’s Road, 1980. Il punk come stile giovanile minaccioso
e provocante non cessò di esistere. Al contrario fu istituzionalizzato addirittura della
moda (senza esclusione dell’alta moda) durante gli anni ottanta e anche nei
novanta inoltrati.

Negli anni Ottanta il termine punk era diventato un aggettivo del discorso della moda, denotando così non una sottocultura o un atteggiamento, ma semplicemente certe variazioni, relativamente poco comuni, nel colore dei capelli o nell’uso di accessori.
Il punk look si sviluppo in un ambiente caratterizzato da un’estrema consapevolezza della moda, il centro del cui potere stava nella sua
capacità di ridurre qualsiasi elemento visivo a novità stilistica.
L’industria onnivora della Haute couture, avida di nuove fonti di ispirazione, aveva messo occhio sul punk fin dal 1977, quando “Cosmopolitan” pubblicò un servizio sull’ultima collezione di follie d’alta moda firmata Zandra Rhodes, che consisteva interamente su variazioni del tema punk. Le modelle erano soffocate da montagne di spille di sicurezza e di plastica (le spille erano prodotti di gioielleria, la plastica era invece un satin lucido) e l’articolo che accompagnava il servizio terminava : “Scioccare è chic” annunciando l’imminente decesso della sottocultura.
Ciò non equivale però a sostenere che l’interfaccia punk- moda esaurisca tutti i significati e i valori del punk look. Ma come si sa, emerse in un contesto di vendita di vestiti usati ossia il negozo tenuto da Mclaren e la Westwood, dove la moda si interfacciava con un
desiderio di scioccare: le catene, le borchie e i vestiti di pelle nera che inventarono appunto il punk.
Dopo il punk, Vivienne Westwood fece ritorno alla di moda divenendo un enfant terrible della haute couture.
Sperimentò altri generi e
nell’autunno del 1981 propone il look New Romantic alle sfilate ufficiali, passando dal negozio e dalle strade alle passerelle, con una collezione chiamata “Pirata” dedicata ai fuorilegge di tutti i tempi. Questa nuova tendenza rielabora in modo ancor più spettacolare, con rimandi al costume storico, le istanze del punk: corsetti di velluto e pelle, pantaloni da bucaniere, camicie con pizzi e jabots, gonnellini alzati su un lato per scoprire mutandoni. Poi ancora sottovesti di sangallo con calze di pizzo, giustacuore e cinturoni di cuoio, stivaletti stringati, catene e accessori metallici. Ha ripreso il passato ottocentesco dei corsetti, dei cilindri, degli indumenti da cavallerizzo, di tutto il bon ton, per accostarlo ad elementi imprevedibili e di contrasto.
Le collezioni anno dopo anno si ripetono con uguale successo e scalpore.
Il tutto in un miscuglio di stile e tendenze, di tessuti poveri e preziosi, di accessori sado-maso, di pettinature punk e di maquillage pesanti e volgari esibiti con un’aria di sfida alla decadenza con il compiacimento di sconcertare
con la divertita ironia del gioco. Il gusto del mescolamento di cose diverse, di accoppiamenti sconvenienti che procurano però quel godimento estetico dell’eccesso, si spiega proprio nella metafora del sesso. Se la metafora della sua moda è il sesso, allora il suo stile è promiscuo, godereccio e libertino.
Nel sistema, ma fuori dal sistema, Vivienne Westwood diventa l’esempio dell’alternativa.
Una creatrice di moda con il coraggio dell’autenticità.















Vivienne Westwood

LA PELLE NEL ROCK RIBELLE: UNA CARISMATICA UNIFORME

“…Il rock è un giovane animale selvatico, poi la società
se ne appropria e ne fa un essere civile

con tutte le carte in regola…”

Jimi Hendrix

Fra li suo potenziale per il dramma e la seduzione e per le sue sovversive connotazioni, la pelle divenne parte integrante nella storia del rock, più generalmente, la musica popolare della seconda metà del ventesimo secolo.
Sebbene la scena del rock fu associata inizialmente come una strategia di vendita, il fascino aristocratico delle rock star continuano a vivere ininterrottamente. Le scelte di vestiti, di accessori, da parte appunto delle star, possono così farne una moda o perfino sopprimerla.
Al contrario, gli abbigliamenti in pelle possono confermare, e in alcuni casi anche stabilire, un’originalità del cantante stesso. Questo sostiene il mito della rock star che diventando un modello di identificazione, in scena indossano abiti come ‘seconda pelle’. Il modo in cui lo street style sia divenuto sicuramente un elemento caratterizzante per la nostra cultura, lo stesso giacchetto nero di pelle è un esempio reale del rapporto tra artista e fans, che si stabilì una volta per tutte fin quando divenne oggetto di culto per la maggior parte delle figure della scena rock.
Fu con il suo diabolico abbigliamento in pelle nera che trasformò Gene Vincent in un’icona dello stile rock. Dal 1959 in poi, il cantante sfoggerà una giacca dal collo risvoltato verso l’alto, un anello d’argento su un singolo guanto nero e un paio di pantaloni in pelle che ricoprivano la protesi della gamba rigida, causata da un incidente stradale. Vincent fu senza ombra di dubbio, la prima persona ad assicurare un posto al giacchetto di pelle nei guardaroba delle rock star, spingendo il vero simbolo della strada alle luci della ribalta.
Durante gli anni Sessanta il suo stile verrà imitato da tutti, a incominciare dai primi Beatles che indossavano il giacchetto di pelle nera insieme alla T-shirt.
Un anno dopo il loro primo successo, nel ’62, i “fantastici quattro” sostituirono i “banditi” abiti con completi stretti e adattati senza collo, ispirati dai modelli del couturier francese Pierre Cardin, mentre i Rolling Stone, capitanati da Mick Jagger, d’altra parte seminavano quello che era uno stile chiaramente distintivo ed evolutivo.

I Beates, un anno prima del loro successo, indossavano i "ribelli giacchetti" in pelle nera e T-shirt sostituendoli successivamente con gli abiti dal colletto Mao ( successivamente detto alla coreana)

Più il fenomeno dei Mod prendeva forma, più lo stile d’abbigliamento diventava rivoluzionario. Mentre la giacca di pelle nera era alquanto funzionale e banale, i rockers riflettevano su di essa la loro enfasi, la loro forza con tocchi decorativi: stemmi disegnati, file di borchie in metallo, spilloni, affermando così apertamente le tribù di identità.
I “The Who” , il gruppo emblematico del movimento inglese Mod invece, vollero divulgare un loro modo estetico del tutto diverso e il leader Roger Daltrey nei primi anni Settanta, non pensò due volte di andare sul palco in uno spettacolare completo di camoscio, anche perché amava indossarlo specialmente a frange.
Nel 1968, dopo una lunga assenza di circa dieci anni, Elvis Presley ritornò sulla scena del rock adeguandosi ai tempi e alle moda che correva: si presentò in un completo nero di pelle strettissimo fatto su misura, dai pantaloni con la piega e giacca di pelle stile jeans. Dato che non era il suo abituale abbigliarsi, il Re volle dimostrare il suo ritorno al rock in modo originario. Negli ultimi anni, divenne una figura da marionetta, movendosi dolorosamente nella giacca bianca di pelle e il mantello coperto da diamanti artificiali.

Intanto andava in scena Jim Morrison che fu proclamato icona sex simbol del rock alla sua prima apparizione in televisione nel 1967, trasformando i pantaloni in pelle come ‘la sua seconda pelle’. Il leader dei The Doors, coniugò i sovvertimenti della pelle con il romanticismo torturato intensificato dai suoi capelli ricci e la camicia sbottonata all’ombellico. Una delle sue foto in posizione crocifissa, a dorso nudo e pantaloni in pelle, è ancora tutt’oggi un simbolo del movimento rock.

Elvis Presley al suo ritorno al rock nel 1968 e Jim Morrison icona sexy del rock che combina l'erotismo della sua pelle con il romanticismo straziato.



Insieme a Morrison, Iggy Pop è probabilmente l’icona rock che per la maggior parte ha giocato con la sua sensualità animalesca. Non a caso è anche soprannominato “iguana” per i suoi movimenti scattanti e agili, ma anche per la sua corporatura esile. Un intransigente indossatore di pantaloni attillati in pelle di serpente, in ogni tipo di colore e sfumatura, faceva del suo corpo uno mezzo espressivo di comunicazione senza alcun limite, addirittura nelle sue performance arrivava al punto di sfregiarsi con schegge di vetro.
Selvaggio ma mai ridicolo, fu capace di esaltare il suo corpo stupefacente con una tale arroganza e sicurezza di sé stesso esibendosi in un concerto interamente nudo. Una foto famosa scattata agli inizi degli anni Settanta, mostra Iggy ripreso da dietro da cui si intravedono le natiche contratte in pantaloni argentati, con la testa del leopardo stampata sulla giacca di pelle. La pelle fu anche un elemento chiave del movimento “blaxpoitation” degli anni Settanta – pantaloni a zampa d’elefante, giacche scamosciate o in pelle di serpente e cappotti di pelle. In Francia negli anni Sessanta il rock trasse l’ispirazione sartoriale dalle precedenti generazioni inglesi e americane. Sul magazine ‘Salut les Copains’ (‘Ciao, ragazzi’), Jean Marie Pèrier fotografò tutti i personaggi famosi dell’epoca con giacche e giacchetti di pelle nera: come ad esempio immortalò Francoise Hardy, Michel Polnareff, Dick Rivers leader dei ‘Les Chats Sauvages’ e Johnny Halliday che non ha mai abbandonato abiti in pelle per tutti i 40 anni della sua carriera. Idolo per i giovani - per il quale il fashion designer Jean-Claude Jitrois produsse centinaia di capi in pelle- ha indossato ogni tipo di cuoio e di pelle, dal leggendario Perfecto ai gacchetti smanicati intarsiati da piccole toppe di metallo, mostrando i suoi tatuaggi e i suoi durissimi muscoli, un sorta di “Mad Max incontra The Matrix look”. Questo capo, abbinato con la guarnizione di borchie e metalli, aiutò a stabilire la sua immagine come rock star “Made in France” .
Negli anni ’70, inoltre, viene a consolidarsi quello che è chiamato “Rock decadente” una nuova branca stilistica del rock britannico, influenzata da una concezione di vita e dello spettacolo sensazionalista ed esibizionista. Il rock decadente deve essere inteso come un movimento che tende ad esaltare gli aspetti più provocatori e decadenti dell’ideologia del rock’n’roll. L’erotismo come volgarizzazione della sessualità, il travestimento, il culto dell’esibizionismo, l’omosessualità vera o presunta, la ricerca dell’ambiguità, sono un disperato tentativo di comunicazione.
Le nuove generazioni di teenagers sono meno ingenue e più viziate. C’è bisogno di vedere la rock-star come qualcosa di estremo, di diverso da se, nel quale specchiarsi. Non a caso le principali personalità del rock decadente erano Elton John e David Bowie, due personaggi che hanno fatto dell’immagine e dell’ambiguità i punti fondamentali della loro espressività artistica.
Negli stessi anni veniva a formarsi un’altra tipologia di rock, il glam rock che si presenta come uno dei filoni commerciali più in auge e di maggior successo in Inghilterra, ma anche un fenomeno di costume popolarissimo tra i teenagers inglesi: sono i tempi degli stivaletti dai tacchi alti e pantaloni a zampa d’elefante.. In opposizione con tutto ciò si sviluppava un ulteriore tendenza che sfociava in una eccessività in termini di look e di apparenze: l’hard rock. Questo movimento abbracciava un’esplosiva combinazione di culture hippie e rocker: capelli lunghi, brillìo psichedelico, jeans logorati, consumati, strappati e pelle ornata da borchie e metalli. L'hard rock è un genere di musica rock derivato principalmente dal rock’n’ roll e dal blues-rock, nato tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta nel Regno Unito. Dall'hard rock derivano altri generi musicali di grande popolarità, il punk rock e in particolare l'heavy rock. Maschilista, patriarcale, incolto, feticista, privo di qualsiasi orizzonte che non sia il ballo e l'orgasmo, l' hard-rock esprime con uno stabile sottofondo satirico, cabarettistico e demodé (scherzando col fuoco o ridendo con accanto la morte) le alienazioni e contraddizioni più lancinanti e importanti dell'individuo che vive nella metropoli industriali. L'hard-rock è il credo musicale ed esistenziale del guerriero-proletario, che nello scenario della metropoli industriale rivive i più rozzi, magniloquenti e superficiali sentimenti ereditati dal più deteriore romanticismo, che con questi stessi aveva interpretato tutta la storia passata dell'uomo e quella di volta in volta presente dell'individuo. L'hard-rock predica non il male di vivere, ma il vivere male: perché così, a suo dire, c'è più gusto. Muscoli, organi sessuali e sensuali, capelli: tutto deve essere forte, grosso, evidente. L'unica ragione è quella dei ragazzi, intesi come giovani e come maschi; se il resto (la società, la natura, le donne) non corrisponde o non dà ragione ai ragazzi, va distrutto, ignorato. Inteso come stile di musica e vita interpretato fondamentalmente da gruppi di giovani ribelli invaghiti del mito del sesso e dello stile-di-tendenza (la loro), con capelli lunghi e vestiti eccentrici, spesso di pelle e comunque rozzi con abiti e look spesso trasandati, l'hard-rock è un continuo dedicarsi alla superficialità, all'apparenza più che al simbolico, al fanatico o feticistico. I seguaci dell’Hard rock si servirono di alcuni articoli del guardaroba dei temutissimi motociclisti ‘Hells Angels’: stivali pesanti e borchiati, giacchetti in pelle nera, la stessa pelle nera decorata con fiamme e teschi veniva raffigurata con creature sataniche riportate sulla parte posteriore delle giacche, disegni ispirati dai massicci tatuaggi, come la rosa e le pistole del simbolo della band rock dei Guns’N’Roses. Ma alcune volte per l’uso eccessivo di pelle aderente al corpo, di cinghie, di anelli e di catene, l’immagine hard rock prende le sembianze del feticismo. Anno dopo anno il “Monstern of Rock festival”, tenuto in Wiltshire, nell’ Inghilterra meridionale, era un autentico carnevale di costumi in pelle, portando migliaia di fans ad agghindarsi con vesti allacciate da stringhe, corsetti e gilet in pelle di serpente, pantaloni che stringono alle gambe, stampe di leopardi e innumerevoli toppe. Con la sua faccia truccata e dalle performance cariche di sangue, Alice Cooper rappresentò la più teatrale espressione dell’hard rock anni Settanta. I suoi concerti sono macabri e cruenti ma, allo stesso tempo, molto spettacolari. Le sue performance live sono famose per le ghigliottine sul palco, bambole impalate, per il famoso pitone (vero) attorcigliato al collo e per il corpse paint, trucco facciale dalle sembianze "macabre". Egli è infatti considerato tra i più importanti esponenti dello shock rock, un termine che comprende appunto esibizioni di questo genere. In scena indossava, sopra al dorso nudo e villoso, un gilet di pelle borchiato abbinato a dei pantaloni in pelle decorati con applicazioni di metallo e come tocco finale dei polsini alle braccia. Salvador Dalì ne fu talmente divertito dall’ apparenza decadente del cantante che lo invitò a far parte di uno dei suoi lavori prodotto nel 1973.


Alice Cooper, il re del rock-shock.